New CFP: “The Visual Culture of SARS-CoV-2”

edited by Tarcisio Lancioni and Federica Villa

Nel corso dell’ultimo anno, la pandemia di SARS-CoV-2 (COVID 19) ha segnato il modo di vivere di pressoché ogni comunità del pianeta, mettendo a repentaglio la vita degli individui, condizionandone le prospettive e i progetti, e trasformando le forme significanti attraverso cui, nelle diverse culture, si organizzano le relazioni sociali (Lorusso, Marrone, Jacoviello, a cura, 2020): la gestione dello spazio, la prossemica, il modo di presentare se stessi, segnato dalla necessità (o dal rifiuto) di indossare maschere protettive (Leone 2020), come dalla diversa centralità assunta dalle interfacce digitali in molte pratiche lavorative.

Insieme a tutto ciò, la pandemia sta lasciando una traccia profonda anche nella cultura visiva di questo nostro tempo, avendo come correlato la produzione di una grande massa di immagini chiamate a rappresentare i cambiamenti sociali di cui sopra, in qualità di documenti testimoniali, di mezzi per raccontare o scongiurare la paura, di strumenti per comprendere e comunicare la diffusione progressiva del virus, di argomenti di supporto per il confronto politico e sociale.

Come ogni grande crisi, dunque, anche la pandemia porta con sé un patrimonio di immagini che concorrono a cambiare o a modulare i modi in cui viene guardato il mondo, facendone riconsiderare le pertinenze e le rilevanze. A differenza però, ad esempio, delle immagini “storiche” in cui si condensa la memoria dell’11 Settembre (Mitchell 2011, Dinoi 2008), le immagini della pandemia appaiono immensamente più numerose e varie, e rendono conto di una pratica diffusa di elaborazione e produzione delle immagini stesse, tanto da apparire come uno dei caratteri stessi del fenomeno pandemico. Diffusione che si traduce in una sorta di “iconodemia” che monopolizza non solo l’universo mediatico, con immagini di cronaca e scientifiche, ma anche quello dei social media, quello dell’arte e addirittura il panorama urbano, attraverso street art e manifesti, e per documentare la quale sono nati progetti diversi, tra cui ci limitiamo a citare, a solo titolo di esempio, il Covid-19 Visual project (https://covid19visualproject.org/it/chapter/una-societa-ferita/5), quello promosso da W.J.T. Mitchell su Critical Inquiry (https://critinq.wordpress.com), o quelli sviluppati per documentare la tematizzazione della pandemia nella street art (https://news.artnet.com/art-world/coronavirus-street-art-1814961).

D’altra parte, come quasi sempre nell’iconosfera, tutte queste immagini nascono in dialogo con altre immagini, già sedimentate, in forma di citazione, rielaborazione, confronto con altre immagini, creando nuove reti di significati che creano relazioni fra la pandemia covid e altri fenomeni sociali del presente e del passato, a partire da altre epidemie, storicamente documentate, o solo temute e immaginate, che hanno lasciato le loro tracce nell’arte, nelle illustrazioni d’epoca (si veda il grande revival delle immagini della pandemia cosiddetta “spagnola”), nel cinema di finzione (Lancioni 2020), aprendo lo spazio per una riflessione sulle forme di una vera e proprio iconografia epidemica.

More details here: https://vcsmimesis.org/call-for-essays?fbclid=IwAR1O5DmJEbA4NXhDN9Zha_xveKjd5bm6NVGTv6orlZ4Iwg1YR31gr1QEi5o

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